Dalle carte al cantiere: un’opera “corale”
La residenza collettiva per studenti nel Campus dell’Università di Modena è stata una delle esperienze professionali più belle e impegnative degli ultimi anni.
Oltre a realizzare il progetto dell’edificio, ho svolto anche il ruolo di direttore dei lavori , come spesso accade nei miei lavori. Il progetto preliminare di massima risale al 2007, poi la progettazione esecutiva, nel 2011-2012 ed infine il cantiere, per oltre due anni, fino all’inaugurazione, a ridosso del 2015. Ho trascorso molte ore a discutere attorno a un tavolo con ingegneri, impiantisti e tecnici per decidere ogni dettaglio: perché tutte le persone coinvolte devono avere un’idea globale e condivisa per poter fare la propria parte nel modo giusto. E ho vissuto, letteralmente, nella polvere del cantiere, nel quale lavoravano anche 20-30 operai ogni giorno. E quante telefonate…
Mi sono sentito come un musicista che non solo compone la sua musica, ma la dirige e la suona assieme ad altri professionisti.
Fare molto con poco: non un limite, ma un’opportunità
Si tratta di un’opera di discrete dimensioni: 4 torri di 8 piani ciascuna, per un totale di 120 appartamenti in grado di accogliere 480 ottanta studenti, ubicate nella zona sud della città, all’interno del campus universitario, dove prima c’era un campo da calcio.
Sfruttare uno spazio relativamente piccolo per ospitare tante persone non era l’unico vincolo di cui tenere conto: c’erano anche limiti di budget molto rigidi e richieste precise da parte dei committenti da soddisfare; ma quello che, in apparenza può sembrare un freno alla creatività dell’architetto, in realtà è una cosa a cui sono abituato e che non mi disturba. Lavorare “in progress”, limando e semplificando il progetto iniziale, aiuta a centrare meglio l’obiettivo e a capire cosa è essenziale e cosa non lo è. Alla fine mi sono reso conto che, pur cambiando molti dettagli, l’idea generale è rimasta la stessa ed è piaciuta subito.
Facile da costruire e da gestire, ma anche bella da abitare
Mi è stato chiesto di fare degli edifici economici da realizzare, sicuri, funzionali, di facile manutenzione e con un basso consumo energetico. Io volevo che fossero un posto piacevole in cui abitare, dato che dovevano ospitare ragazze e ragazzi provenienti anche da molto lontano, magari alla prima esperienza lontano da casa, negli anni più cruciali della loro formazione e della loro vita.
Partendo da queste considerazioni, ho sviluppato il progetto usando una struttura modulare e ripetitiva, semplice e simmetrica, facile sia da costruire sia da gestire nel tempo.
Tutto ruota attorno a un lungo corridoio centrale che unisce le quattro torri; queste sono sfalsate per sfruttare meglio lo spazio e permettere alla luce di arrivare ovunque. Nel corridoio sono raggruppati tutti gli impianti, collocati in ampi cavedi tecnici accessibili dall’esterno, senza entrare nelle stanze.
Una struttura modulare per risparmiare spazio e usarlo dove serve
Al piano terra delle torri si trovano i locali di uso comune (portineria, lavanderie, soggiorni e sale comuni) e ci sono alcuni appartamenti accessibili ai disabili con un piccolo giardino privato.
I piani superiori ospitano quattro appartamenti ciascuno, realizzati secondo uno schema che si ripete uguale in ogni piano e in ogni torre. All’ingresso c’è un’ampia zona giorno con angolo cottura, seguono le quattro camere singole, affiancate lungo un corridoio. Di fronte alle camere ci sono due bagni e, agli estremi del corridoio, due ripostigli. Gli scarichi sono silenziati e le pareti che separano le camere sono in materiale fonoassorbente per garantire la giusta privacy agli studenti. Ogni appartamento ha un balcone di forma leggermente curva (un elemento che mi piace e torna spesso nei miei progetti), abbastanza grande da ospitare qualche sedia e un tavolino e permettere, ad esempio, di mangiare fuori. Lo spazio antistante gli ingressi agli appartamenti è stato tenuto volutamente ampio per diventare un ulteriore luogo d’incontro e socializzazione ad ogni singolo piano.
Luce naturale: energia per far vivere case e persone
Ho lavorato molto sul sistema d’illuminazione degli edifici. Mi piace molto sfruttare al meglio la luce naturale, perché col suo variare durante il giorno cambia aspetto alle stanze e agli edifici, rendendoli più belli da vedere e da abitare. E poi, ovviamente, fa risparmiare energia!
Le finestre sono posizionate sui lati est e ovest di ogni torre e sono piuttosto basse, partendo dal pavimento, per far entrare più luce e permettere agli studenti di guardare fuori anche quando sono seduti alla scrivania. E sono state scelte per garantire un buon isolamento termico.
I vani scala sono a loro volta fonti di luce, perché aperti verso l’esterno, ma protetti, come i balconi, da una grata metallica frangisole, che ha una funzione pratica e insieme decorativa.
Aria, colore e movimento
Il rivestimento esterno è in klinker: mattonelle vetrificate, resistenti e impermeabili, che non richiedono intonaco e, quindi, abbassano i costi di manutenzione. Le mattonelle sono fissate a un supporto d’alluminio che crea un’intercapedine tra il rivestimento e la parete interna in laterizi. L’aria che circola in questa intercapedine contribuisce a regolare naturalmente la temperatura interna dell’edificio e d’estate, in particolare, a mantenerlo più fresco.
Per dare identità e carattere a una struttura dalle forme volutamente semplici e squadrate ho giocato con i colori, alternando mattonelle rosso cotto ad altre grigie, secondo una sequenza non regolare: il ritmo spezzato dei rettangoli scuri che “piovono” lungo le finestre ha qualcosa di un po’ futuristico “alla Matrix”, che spero i giovani possano apprezzare…
Anche all’interno ho lavorato con due colori alternati, il giallo e l’arancio. Oltre a ravvivare gli ambienti, i colori aiutano ad orientarsi in spazi molto grandi che, altrimenti, sarebbero assai simili tra loro. Per distinguere le quattro torri ho pensato di identificarle col nome di una delle virtù cardinali, giustizia, fortezza, prudenza e temperanza: particolarmente importanti per chi studia.
Lasciare che un’opera faccia la sua strada
Ad oggi sono state realizzate solo due delle 4 palazzine, ma tutto è già stato predisposto fin dall’inizio per completare l’opera quando ci sarà la necessità di farlo.
Più segui un progetto da vicino, come in questo caso, più lo senti tuo, a maggior ragione quando i lavori durano anni. Ho passato molto tempo passeggiando per il cantiere, cercando di guardarlo con un occhio esterno per capire se occorreva sistemare qualcosa e per immaginare che impressione avrebbe fatto a chi ci avrebbe abitato.
Per quanto ci si affezioni a un’opera, però, arriva un momento in cui bisogna “lasciarla andare” e accettare che cominci a vivere la sua vita. Ciò non mi impedisce di tornare talvolta “sul luogo del delitto”, per vedere come vanno le cose quando l’edificio non è più “mio”. In questo caso è stato particolarmente emozionante, perché ho incontrato studenti che scaricavano le loro valigie, alcuni stranieri, altri accompagnati dalle famiglie e tutti erano decisamente emozionati, allora ho pensato: “Bene, adesso tocca a loro!”
Per saperne di più
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